Gli Etruschi
a
cura della prof.ssa Anna Maria Giannetto
Argomento assai dibattuto, nell'antichità come in
tempi recenti, è la provenienza, la formazione, la nascita del popolo etrusco.
Erodoto, storico
greco del V sec. a.C., nel I libro delle Storie,
ripercorrendo le vicende che portarono alla secolare ostilità tra Greci e
Persiani, sofferma la sua attenzione su Creso, re di Lidia, che per primo
impose un tributo ai Greci. Seguendo un criterio associativo, lo storico dà
così inizio al logos che narra le antiche vicende della Lidia, per ritornare
poi a Creso, alla sua grandezza e alla sua sconfitta ad opera dei Persiani di
Ciro il Grande. E’ proprio all’interno di questo excursus che si inserisce il
passo presentato (Storie I, 94).
Secondo questa tradizione riferita da Erodoto gli Etruschi sono degli orientali: nel XIII sec.
a.C. una parte del popolo lidio espatria, partendo
dalla città di Tyrra, a causa di una carestia; sotto
la guida del principe reale Tirreno sbarca in Umbria, dove gli esuli prendono
dal loro capo il nome di Tirreni (lo stesso nome che venne dato al mare che
bagna le coste occidentali dell’Italia). Tale nome, corrotto, diventerà Tusci, poi Etrusci in latino. A
sostegno della tesi di Erodoto si nota che gli
Etruschi praticavano la divinazione e l’interpretazione dei segni, scienze
tipiche dell’oriente, e che alcune caratteristiche artistiche, culturali e
linguistiche risultano comuni con il mondo dell’Asia Minore antica.
Altrettanto stimolante e plausibile è la tesi di una
autoctonia del popolo etrusco, sostenuta da Dionigi di Alicarnasso,
retore e storico greco vissuto a Roma nel I sec. a.C. . Dionigi avvalendosi di
scritti assai più antichi della sua epoca, redige le Antichità Romane, un
trattato storico in venti libri, nel primo dei quali affronta la questione
delle origini dei popoli italici e, tra questi, degli Etruschi. Sulla base dei
dati disponibili, lo storico confuta le diverse tradizioni sino ad allora note
che, di volta in volta, proponevano una provenienza orientale dalle terre lidie o una discendenza dal mitico popolo dei Pelasgi (Ellanico di Lesbo). Egli
arriva ad affermare la nascita locale degli Etruschi, sulla base
dell'originalità ed individualità linguistica e culturale rappresentata da
questo popolo rispetto agli altri abitanti dell'Italia antica. Rifacendosi a
Dionigi molti studiosi contemporanei ritengono che gli Etruschi non siano degli
immigrati, ma i più antichi legittimi abitanti del luogo. Questi autoctoni,
prima della rinascita del VII sec. a.C., avrebbero
subito l’invasione indoeuropea, senza tuttavia fondersi con gli invasori e i
popoli vicini, ma cogliendo gli apporti delle culture orientali presenti sul
territorio italico.
Tito Livio, lo storico
romano del I sec. a.C., percorrendo nella sua
narrazione la storia di Roma anno per anno, racconta (Ab
Urbe condita VII, 2), che nel 366 a.C. la tranquillità della città fu turbata
da una grave epidemia di peste. Questo fatto fornisce a Livio
l’occasione per parlare di tutti quegli atti che venivano tentati per placare
gli dei e liberare la città dal male. L’autore fa riferimento ad un sacrificio,
lectisternium, ma vista la sua inutilità, i
magistrati ricorsero ad un nuovo tipo di rappresentazione: i ludi scaenici. Questi erano eseguiti da mimi, chiamati hister, fatti venire dall’Etruria,
che danzavano al suono del flauto. La predilezione degli Etruschi per la danza
e per la musica, in particolare per il flauto, è d’altronde confermata oltre
che dalle testimonianze d’arte, anche dalla presenza a Roma, in età
repubblicana, di suonatori proprio di origine etrusca. Questi accompagnavano i
sacrifici rituali e i cortei dei magistrati romani suonando la tromba
caratteristica del loro paese, la Tyrrhenica tuba, e
formavano le bande militari degli eserciti della res publica
nel periodo del suo massimo splendore.
Prima Lettura
Tito Livio (V, 33, 7 – 8)
Prima
dell'egemonia romana, la potenza etrusca si estendeva largamente per terra e
per mare. Per comprendere le reali dimensioni di questo dominio sui due mari
che cingono a nord e a sud l'Italia rendendola simile a un'isola, basta
guardare ai nomi con i quali li si designa: le popolazioni italiche, infatti,
chiamarono l'uno Mare Etrusco e l'altro Atriatico
dalla colonia etrusca di Atria. I Greci li chiamano
invece Tirreno e Adriatico. Gli Etruschi si stabilirono nelle terre situate
lungo i litorali di entrambi i mari in gruppi di dodici città, prima al di qua
dell'Appennino verso il Mare Tirreno, poi mandando oltre l'Appennino
altrettante colonie quante erano i ceppi d'origine, ed esse andarono ad
occupare tutta la zona situata al di là del Po fino alle Alpi, eccetto l'angolo
di costa adriatica abitato dai Veneti. Anche alcune popolazioni alpine sono di
origine etrusca, soprattutto i Reti che, inselvatichitisi per la natura stessa
dei luoghi, non hanno conservato quasi nessuna delle caratteristiche antiche,
salvo forse l'inflessione della parlata, e neppure questa priva di
contaminazioni.
Seconda Lettura
Erodoto (Storie I,
94) V sec.
Al
tempo di Atys, figlio del re Mane, ci fu in tutta la
Lidia una tremenda carestia e i Lidi per qualche tempo continuavano a vivere
sopportandola, ma poi, poiché non cessava cercarono rimedi e chi ne inventava
uno, chi un altro. Allora furono inventati i giochi dei dadi e degli astragali
e della palla e ogni altra specie di giochi, tranne quello degli scacchi;
l'invenzione di questo infatti i Lidi non se la attribuiscono. (4) E, inventatili, agivano contro la fame nel modo seguente: un
giorno giocavano per tutta la giornata, in modo da non cercar cibo, e l'altro
mangiavano cessando i giochi. In tal modo trascorsero 18 anni. (5) Ma poiché la
carestia non diminuiva, anzi infuriava ancor di più, il re, divisi in due
gruppi tutti i Lidi, ne sorteggiò uno per rimanere, l'altro per emigrare dal
paese e quello dei gruppi cui toccava di restare lì si mise a capo lui stesso
come re, all'altro che se ne andava pose a capo suo figlio, che aveva nome
Tirreno. (6) Quelli di loro che ebbero in sorte di partire dal paese scesero a
Smirne e costruirono navi e, posti su di esse tutti gli oggetti che erano loro
utili, si misero in mare alla ricerca di mezzi di sostentamento e di terra,
finché, oltrepassati molti popoli, giunsero al paese degli Umbri, ove costruirono
città e abitano tuttora. (7) Ma in luogo di Lidi mutarono il nome, prendendolo
da quello del figlio del re che li guidava, e si chiamarono Tirreni.
Terza Lettura
Dionisio di
Alicarnasso (Antichità Romane) - I sec. a.C.
Dopo
che i pelasgi ebbero lasciato la regione, le loro
città furono occupate dai popoli che vivevano nelle immediate vicinanze, ma
principalmente dai tirreni, che si impadronirono della maggior parte di esse, e
delle migliori…Sono convinto che i pelasgi fossero un
popolo diverso dai tirreni. E non credo nemmeno che i tirreni fossero coloni lidii, poiché non parlano la lingua dei primi….Perciò sono
probabilmente più vicini al vero coloro che affermano che la nazione etrusca
non proviene da nessun luogo, ma che è invece originaria del paese.(Dionisio di
Alicarnasso (Antichità Romane) I sec. a.C.)
Quarta Lettura
Seneca (Quaest. nat., II, 32, 2)
La
differenza fra noi [cioè il mondo ellenistico-romano]
e gli Etruschi... è questa: che noi riteniamo che i fulmini scocchino in
seguito all'urto delle nubi; essi credono che le nubi si urtino per far
scoccare i fulmini; infatti attribuendo tutto alla divinità, sono indotti ad
pensare non che le cose abbiano un significato in quanto avvengono, ma
piuttosto che esse avvengano perchè debbono avere un significato.
Quinta Lettura
Livio (VII, 2-3) -
La
pestilenza infuriò tanto in questo quanto nell'anno successivo, durante il
consolato di Gaio Sulpicio Petico
e Gaio Licinio Stolone. Di conseguenza non accadde nulla che sia degno di
essere menzionato, se non il fatto che, proprio per placare l'ira degli dèi,
venne celebrato un lettisternio, il terzo dalla fondazione di Roma. Ma siccome
non c'erano iniziative umane né aiuti divini che riuscissero a frenare la
violenza dell'epidemia, mentre già gli animi erano in preda alla superstizione,
si dice che tra i tanti tentativi fatti per placare l'ira dei celesti vennero
anche istituiti degli spettacoli teatrali, fatto del tutto nuovo per un popolo
di guerrieri i cui unici intrattenimenti erano stati fino ad allora i giochi
del circo. Ma a dir la verità si trattò anche di una cosa modesta, come per lo
più accade all'inizio di ogni attività, e per giunta importata dall'esterno.
Senza parti in poesia, senza gesti che riproducessero i canti, degli istrioni
fatti venire dall'Etruria danzavano al ritmo del
flauto, con movenze non scomposte e caratteristiche del mondo etrusco. In
séguito i giovani cominciarono a imitarli, lanciandosi nel contempo delle
battute reciproche con versi rozzi e muovendosi in accordo con le parole. Quel
divertimento entrò così nell'uso, e fu praticato sempre più frequentemente.
Agli attori professionisti nati a Roma venne dato il nome di istrioni, da ister che in lingua etrusca vuol dire attore. Essi non si
scambiavano più, come un tempo, versi rozzi e improvvisati simili al
Fescennino, ma rappresentavano satire ricche di vari metri, eseguendo melodie
scritte ora per l'accompagnamento del flauto e compiendo gesti appropriati.